Storia del Disturbo Bipolare

Come ci si potrebbe aspettare, la storia antica del disturbo bipolare e di altri disturbi mentali non è di certo una bella storia. Pensate che dal 300 al 500 d.C. le persone bipolari venivano soppresse, secondo quanto racconta la dott.ssa Cara Gardenswartz, specializzata in storia del disturbo bipolare.

“Da quando ne abbiamo testimonianza, queste persone erano percepite come ‘matte’, possedute dal diavolo o da demoni” afferma la Gardenswartz. Il loro trattamento o punizione, spiega, includeva il contenimento o l’incatenamento; venivano fatti sanguinare, venivano date loro diverse pozioni e venivano applicate sul cranio anguille elettriche. “Un po’ come sono state trattate le streghe in diverse culture. Infatti, la stregoneria è stata spesso usata per cercare di ‘curarli’, afferma la Gardenswartz.

“Sappiamo meno invece sul disturbo dal 1000 ala 1700 d.C., ma nel diciottesimo e diciannovesimo secolo abbiamo adottato un approccio generalmente migliore verso i disturbi mentali”.

Nel secondo secolo il disturbo bipolare è stato osservato e studiato dal medico Areteo di Cappadocia— una città dell’antica Turchia. Nel suo studio scientifico, Sull’Eziologia e la Sintomatologia delle Malattie Croniche, Areteo identifica mania e depressione, alludendo al fatto che fossero due forme della stessa malattia e che condividessero un legame comune. Gli antichi greci e romani hanno coniato il termine “mania” e “melancholia” e usavano le acque termali di località del nord Italia per curare pazienti agitati o euforici, quasi prevedendo la realtà delle cure del futuro, dato che avevano intuito che i sali di litio assorbiti dal corpo avessero proprietà calmanti. Nel 300 -400 a.C. il filosofo greco Aristotele ringrazia la “melacholia” descrivendola come “dono” per artisti, poeti, scrittori e menti creative del suo tempo. Al contrario, nel medioevo, le persone afflitte da malattie mentali erano considerate colpevoli di cattive azioni.

Nel 1621 l’inglese Robert Burton, scienziato, scrittore e sacerdote anglicano, scrisse quello che molti definiscono un classico del suo tempo. Si tratta di una revisione di 2.000 anni di saggezza medica e filosofica: La Anatomia della Malinconia, un trattato sulla depressione che la definisce come malattia mentale di per sé. Nel 1686 il medico svizzero Théophile Bonet parla di “manico-melancolicus” collegando la mania alla malinconia.

Buoni progressi vengono fatti agli inizi del 1850 quando Jean-Pierre Falret, uno psichiatra francese, identifica la follia circolare (folie circulaire), ovvero episodi maniacali e malinconici separati da intervalli privi di sintomi. Nel 1875, grazie al suo lavoro, viene coniato il termine “psicosi maniaco depressiva“. Gli scienziati riconoscono a Falret anche il merito di aver riconosciuto un carattere genetico associato a questa malattia.

“Dobbiamo la classificazione del disturbo bipolare a Falret,” scrivono il medico Jules Angst e lo scienziato Robert Sellaro della Zurich University Hospital nel loro articolo del settembre 2000 “Prospettive Storiche e Storia Naturale del Disturbo Bipolare” (Historical Perspectives and the Natural History of Bipolar Disorder) pubblicato sulla rivista Biological Psychiatry.

“E’ incredibile come le descrizioni dei sintomi e dei fattori ereditari fatte da Falret siano così simili alle descrizioni che si trovano sui libri e sulle riviste di oggi” scrive la dottoressa Erika Bukkfalvi Hillard, del Royal Columbian Hospital a New Westminster, nel suo libro del 1992 Disturbo Bipolare, Malattia Maniaco-Depressiva (Bipolar Disorder, Manic-Depressive Illness) “Falret ha persino incoraggiato i medici a diversificare i farmaci usati nel trattamento della malattia maniaco-depressiva nella speranza che un giorno uno di loro potesse scoprire una terapia farmacologica efficace.”

Angst e Sellaro fanno notare che contemporaneamente, nel 1854, il neurologo e psichiatra francese Jules-Gabriel-François Baillarger usa il termine folie à double forme (follia a doppia forma) per descrivere episodi ciclici (maniaco-malinconici). Sembra inoltre che Baillarger abbia riconosciuto una netta differenza tra bipolarismo e schizofrenia.

“Alla fine del diciannovesimo secolo, nonostante i contributi di Falret, Baillarger, e dello psichiatra tedesco Karl Ludwig Kahlbaum (e altri), la maggior parte dei medici continuava a considerare la mania e la malinconia come due distinte entità croniche con un decorso deteriorante” afferma José Alberto Del Porto, della Scuola Paulista di Medicina dell’Università Federale di San Paolo, in una ricerca del 2004 pubblicata sulla Revista Brasileira de Psiquiatria. Comunque, l’accettazione di questa teoria non prevarrà per sempre.

Il disturbo bipolare come malattia a sé stante

Lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin (1856–1926) è uno dei nomi più conosciuti nella storia del disturbo bipolare. A volte ci si riferisce a lui come il fondatore della psichiatria scientifica moderna e della psicofarmacologia. Credeva che la malattia mentale avesse un’origine biologica e raggruppava i disturbi basandosi su una classificazione di tratti sintomatici comuni, invece che su una semplice somiglianza di sintomi maggiori, come invece aveva fatto chi l’aveva preceduto.

Nei primi anni del ‘900, dopo una ricerca estremamente dettagliata, Kraepelin formulò e distinse i termini “psicosi maniaco-depressiva” e “dementia praecox”, quest’ultima verrà chiamata “schizofrenia” da Eugène Bleuler (1857–1940). Un uso diffuso del termine “psicosi maniaco-depressiva” è prevalso fino ai primi anni ’30, termine che comunque è stato usato fino agli anni ’90. Sempre nei primi anni del ‘900, Sigmun Freu apre nuovi orizzonti quando usa la psicoanalisi con i suoi pazienti bipolari, teorizzando che i traumi infantili e i conflitti irrisolti durante la crescita influissero sul disturbo bipolare.

Nei primi anni ’50, lo psichiatra tedesco Karl Leonhard e i suoi colleghi danno il via al sistema di classificazione che portò all’uso del termine “bipolare”, differenziando tra depressione unipolare e bipolare. La dottoressa Gardenswartz fa notare che “una volta che venne marcata la differenza tra il bipolarismo e altri disturbi, le persone che soffrivano di malattie mentali venivano capite meglio e di conseguenza, insieme ai progressi fatti in psicofarmacologia, avevano la possibilità di ricevere cure migliori.”

Così come i nomi dei disturbi mentali si sono evoluti e sono cambiati, è cambiato anche il ventaglio di cure a disposizione dei malati di disturbo bipolare, afferma la dottoressa Gardenswartz. La dottoressa fa osservare che prima degli anni ’50 venivano usati sedativi e barbiturici, e inoltre i pazienti venivano istituzionalizzati per separarli dagli altri. I bagni caldi hanno continuato ad essere usati attraverso i secoli, perché si pensava che calmassero le persone. La terapia Elettroconvulsiva (elettroshock) e la lobotomia pre-frontale sono emerse come altre cure radicali fino a che nuovi metodi si sono sviluppati e sono stati accettati.

“A partire da metà del ‘900, con l’avvento degli psicofarmaci e degli antipsicotici stabilizzatori dell’umore, i pazienti iniziarono a essere visti come esseri umani che soffrivano di una malattia che poteva essere curata”, afferma la dott.ssa Gardenswartz. Inoltre, i medici e il pubblico hanno cominciato a vedere le varie malattie come entità separate dalla persona.”

Una discussione sui farmaci per la cura del disturbo bipolare non può essere completa senza rendere merito al lavoro di John Cade, un medico australiano che ha introdotto il litio nella pratica della psichiatria nel 1949. Cade si accorse quasi per caso che l’urato di litio calmava le sue cavie. Il litio da allora è rimasto uno dei farmaci più efficaci per le persone con disturbi dell’umore, costituendo un trampolino di lancio per le ricerche e le scoperte di cure biomediche che ne sono seguite e che seguiranno.

Dall’avvento del litio, la scelta dei farmaci (antipsicotici, stabilizzatori dell’umore e antidepressivi) combinata a psicoterapie, come la terapia cognitivo-comportamentale, ha fornito nuovi strumenti per affrontare il disturbo bipolare. “Abbiamo molto di cui essere grati” afferma la dott.ssa Gardenswartz. “C’è molto che deve ancora venire. Nei prossimi decenni, vedremo una maggiore differenziazione dei sintomi e delle cure e, possibilmente, riusciremo a prevenire e individuare l’insorgere del disturbo.”

Articolo di riferimento in inglese

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